1D\700Y
Il progetto 1D\700Y , ovvero Un giorno/700 anni nasce dall’idea di integrare due contesti narrativi molto particolari: la vita della residenza Giovanni XXIII e una piccola selezione di documenti conservati all’archivio Storico della Biblioteca Tabasso appartenenti al fondo dell’Ospizio di Carità (l’antecedente istituzionale dell’attuale Ipab).
Il numero 700 (700 anni) evoca il fatto che il più antico manoscritto del fondo è un testamento del 1316: in questo senso, la mostra vuole sottolineare una ricorrenza importante, anche al fine di sensibilizzare la cittadinanza al patrimonio storico e culturale, che testimonia in modo diretto e particolareggiato l’evoluzione di una istituzione chierese.
Il numero 1 (1 giorno) sintetizza la narrazione dei contenuti fotografici, realizzata attraverso lo sguardo di Agnese Samà, poiché – percorrendo il Giovanni XXIII in ogni suo angolo per catturarne la vita concreta per dieci giorni – le fotografie presentano una esplorazione del quotidiano nelle sue differenti espressioni, le quali si possono materialmente riscontrare ogni giorno nella struttura.
La prima cosa che ho pensato è che a fotografare queste persone dovesse essere una donna.
Qualcuno che scoprisse istanti e gesti di vitalità ordinaria. Quella cifra che scompare spesso in luoghi codificati e densi di ritualità, e che tende ad essere notata (e annotata) nelle occasioni speciali: il compleanno, la rappresentazione teatrale, a carnevale, o per gli auguri di Natale.
Non volevo che fosse un professionista del sociale, ma una che potesse disporre di una prospettiva che contenesse tanto il corpo quanto lo spazio, che si muovesse in una geografia ignota, quando non – addirittura – ostile, alla ricerca anzitutto di un dialogo tra il proprio guardare e l’insieme dei segnali del luogo.
Chiunque digiti su un motore di ricerca la parola «anziano», oppure «aged», oppure «personnes âgées», e voglia visualizzare le immagini da un punto indistinto del pianeta, vedrà l’ovvio: innumerevoli ritratti, alternati a persone sedute mentre sono aiutate a nutrirsi, sono consolate, a contatto attraverso le mani di una giovane donna in uniforme pastello. Guarderebbe immagini i cui contenuti appaiono rimossi da qualunque contesto reale, in cui il corpo è già stato cosmeticamente trattato e la postura (insieme agli indumenti) debitamente neutralizzata.
Abbiamo invece voluto raccontare un dialogo, a volte turbolento, in cui la tensione emotiva del gesto è esattamente quella che sarebbe in assenza della fotografa.
Agnese non fotografa spiando e nascondendosi allo sguardo dell’altro; c’è sempre consapevolezza della sua presenza da parte delle persone inquadrate perché è ormai elemento del loro quotidiano, rimane lungo l’arco della giornata negli spazi significati dagli abitanti e dagli operatori, e ci porta dritto alla loro esistenza.
E loro dimostrano di saperlo.
Beppe Quaglia . curatore